
Una buona metafora ci rimanda ai minuti che precedono la partenza di una gara di Formula 1. La nostra telecamera riprende la scena dall’alto, poi in piano sequenza si abbassa sul piano stradale e gira tra i motori che iniziano ad accendersi. Si sofferma su qualche particolare, Berlusconi che indossa il casco liftato dal profilo di caimano, Bersani che già da qualche giorno è dentro la sua monoposto accesa, il Professor Monti che indugia davanti la sua, salgo? non salgo? accendo? scendo? Grillo che prende a calci il gommista. E poi si notano due facce nuove, un pilota e un meccanico.
Il primo è Antonio Ingroia, famoso magistrato antimafia nonché editorialista del Fatto. Si presenta con un logo che è un capolavoro di marketing: al centro in grande si staglia il proprio nome, garanzia assoluta di lotta alla criminalità organizzata; in alto il nome della sua lista, RIVOLUZIONE CIVILE, ovvero l’idea che ora, con lui leader, le persone civili ed oneste si incazzeranno e faranno addirittura la rivoluzione; infine in basso un’immagine che rielabora il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, ulteriore richiamo alla rivoluzione ma stavolta condotta dal “popolo”, il quarto stato appunto, e da qui l’ovvia equivalenza tra civiltà e popolo lavoratore. Molto bello.
Stimo da sempre Ingroia come magistrato ma la sua candidatura in politica (discesa? salita?) mi pone i seguenti insolvibili dubbi: A) Un magistrato indubbiamente bravissimo come lui non dovrebbe per il bene di tutti noi restarsene in magistratura ad “acchiappare” i tanti manigoldi italiani (lo stesso dicasi per il neo acquisto PD, l’ex Procuratore Grasso)? B) Non è forse una semplificazione banale e immiserente ridurre l’enorme complessità (economica, sociale, culturale) che caratterizza la crisi italiana solo alla lotta su scala nazionale contro tutte le mafie? C) Questo neo partito, che tra i suoi principali leader schiera gli ex magistrati Di Pietro, De Magistris e infine Ingroia, non mostra forse di costituirsi cementato di una cultura inquirente? Ovvero forcaiola e giustizialista e – per quanto mi riguarda – inquietante? D) Il pilota Ingroia si rende conto di quanti politici lisi e iper trombati (Diliberto ad esempio, o Ferrero, o lo stesso Di Pietro) saliranno sulla sua carrozza (anzi, monoposto) nella speranza di rinverdire antiche glorie che altrimenti la storia recente e il buon senso degli elettori gli negherebbero? E) È possibile che nelle sue due prime uscite da candidato, Ingroia abbia trovato motivo di infervorarsi solo contro Napolitano e poi contro Bersani? Sono questi due il problema italiano per Ingroia? Stiamo forse, attraverso Ingroia, per assistere all’ennesima, noiosa, irritante, inconcludente e suicida lotta fratricida a sinistra? F) Infine, possibile che gli italiani si appassionino sempre e soltanto alle reincarnazioni di Savonarola?
Passiamo al meccanico che sta dando gli ultimi ritocchi alla monoposto del Professor Monti. Si tratta di Enrico Bondi. La sua biografia in wikipedia inizia dicendo che è «Laureato in chimica, vanta grande esperienza nel risanamento di imprese in crisi.» Poi, sempre wikipedia, aggiunge «è uno dei 45 personaggi importanti del capitalismo italiano firmatari, nell’aprile del 1997, di una lettera al Parlamento italiano con cui si chiedeva la depenalizzazione del reato di falso in bilancio». Perfetto, abbiamo quindi un chimico fan della depenalizzazione del falso in bilancio che, a suo modo, “risana” e rilancia aziende in crisi, Montedison prima e Parmalat poi. Cosa c’entra ora Bondi con le prossime elezioni italiane? C’entra perché è stato incaricato da Monti (Monti in quanto leader politico, non in quanto Primo Ministro) di valutare pendenze penali ed eventuali conflitti d’interesse dei futuri candidati delle liste che lo sosterranno, quindi UDC, API, Italia Futura e FLI.
Come il “Signor Wolf” del film di Tarantino, Bondi è l’uomo che risolve problemi. Qualunque problema. Aziende in bancarotta? C’è Bondi. Spending Review? Chiamiamo Bondi. La sanità del Lazio ha un buco di 900 milioni di euro? Nominiamo Bondi Commissario Straordinario (o liquidatore, fate voi). Insomma, l’integerrima intransigenza e raffinata razionalità di Bondi ne stanno facendo l’uomo giusto per ogni evenienza, quasi un taumaturgo (ed in questo lo affianco ad Ingroia). L’idea che ora valuti anche il profumo di pulito e di freschezza dei candidati pro Monti, però, fa un po’ sorridere. Non solo perché nemmeno un uomo di valore come lui potrebbe districare l’intricatissimo conflitto d’interessi interno ad un movimento politico che è diretta espressione della “raffinata” imprenditoria italiana (opposta a quella becera di marca berlusconiana), ma anche perché la sua nomina a Ministro dell’Etichetta e dell’Opportunità esprime una logica di problem solving tipicamente aziendalista, bocconiana, comunque non politica anzi, proprio dal punto di vista della buona politica, decisamente tragica: decisionista, verticistica, gerarchica, ed anche un po’ ipocrita. Insomma un meccanico che non risolve il guasto ma lo istituzionalizza.