
Certamente la politica italiana è la meno noiosa d’Europa, una vera fucina di inimmaginabili novità ed esperimenti, e conseguenti stimoli alla riflessione. Ad esempio in questi giorni stavo progettando un approfondito articolo sulla fascinazione tutta italiana per i comici e, in particolare, per quella vera e propria delega che il popolo di sinistra, in questo ventennio berlusconiano (altro comico il Cavaliere, a suo modo), ha dato ai comici in fatto di lettura della realtà, analisi politica, proposte e prospettive. Argomento su cui sperò ritornerò, magari legandolo ad un interessante servizio proposto da Repubblica del 29 Marzo, tre pagine dedicate all’analfabetismo di ritorno causato dall’eccessivo uso della tecnologia e, ulteriore approfondimento, all’incapacità, anche per chi ha normali attitudini alla lettura, di comprendere una narrazione complessa. Ci si perde di fronte alla complessità, in pratica difettiamo di sintesi, qualità che invece non deve mancare mai al comico, e in generale all’artista. Tutti splendidi argomenti, poi sono arrivati i “10 saggi” di Napolitano.
Non mi sembra sia stato ancora messo bene in evidenza come l’Italia sia divenuta, a partire da Novembre 2011, e quindi circa da un anno e mezzo, una Repubblica Presidenziale. Dalla fine del IV Governo Berlusconi i principali partiti italiani hanno rinunciato alla guida del Paese, chi per manifesta incapacità e rischi di dissolvimento (PDL), chi per paura, miopia, fisiologica confusione (PD), e si sono cristallizzati in posizioni che vanno dall’attendismo allo slogan elettorale, da folli propositi di autosufficienza ad arroganti e irricevibili inviti alla collaborazione. E alla fine, come adolescenti spaventati e persi, hanno chiamato papà. Forse papà, ovvero Giorgio Napolitano, ne avrebbe fatto volentieri a meno; forse gli sarà sembrato strano e anche deprimente che a 87 anni gli si chiedesse di prendere la guida di 60 milioni di persone i cui rappresentanti politici non possono e non vogliono mettersi d’accordo; o forse si sarà sentito inorgoglito e galvanizzato dall’unanime riconoscimento alla sola importante qualità che un ottantasettenne come lui può avere, la saggezza. Volente o nolente quella guida l’ha presa e la sta esercitando con energica risolutezza.
Nel 2011 ci ha imposto il Governo Monti. “Imposto” può sembrare un termine eccessivo ma di fatto così è stato, d’altronde gli è stato detto chiaramente “fai tu qualcosa che noi non ne usciamo”. E lui qualcosa ha fatto, è stato suo dovere e diritto. Non voglio entrare in un giudizio di merito sul Governo Monti, mi limito ad osservare che fu a tutti gli effetti un commissariamento della democrazia parlamentare. Poi le elezioni e di nuovo un accorato “per favore pensaci tu”. Nonostante abbiamo il Parlamento più giovane della storia repubblicana, chi detta l’agenda, chi sbroglia la matassa, chi ci indica la via è ancora questo grande vecchio, amendoliano, migliorista, riformista, storico rappresentante dell’area di destra del PCI.
I “10 saggi” di Napolitano seguono la stessa prospettiva che fece nascere il Governo Monti: reciproca collaborazione PD-PDL (“inciucio”, per qualcuno), governabilità, stabilità, rassicurare, prendere tempo, rimandare gli scontri. La differenza è che tale scelta nel primo caso fu obbligata dall’inesistenza di una qualunque ipotesi di maggioranza parlamentare e dal “responsabile” rifiuto PD di andare alla elezioni (che, ovviamente, avrebbe stravinto), mentre oggi, con i “10 saggi”, con quei 10 saggi, mi appare più il volontario imporsi di una visione politica molto personale e anche poco sensibile a certe suggestioni emerse con evidenza dalle elezioni in poi. Formalmente, Napolitano prende alla lettera l’invito dei partiti a superare lo stallo e si crea un proprio governo attivo su due fondamentali questioni, istituzionale ed economica. Così abbiamo un Parlamento ancora fermo, un governo in carica ma dimissionario (e sconfitto alla elezioni) e un governo del Presidente fetale che tra qualche settimana verrà alla luce. Nei contenuti, la scelta di quei nomi indica una precisa volontà verso una “Grosse koalition”, e un disconoscimento definitivo di qualsiasi ipotesi di svolta a sinistra (tentativo Bersani). Napolitano scende in campo per facilitare il dialogo tra i partiti ma non tutti i partiti sono oggetto del suo tentativo, solo alcuni partiti e alcune “anime” di questi: la bocciatura di qualsiasi istanza proposta dal M5S e il disconoscimento del timido tentativo di Bersani di aprire a Grillo appare evidente. Altrettanto evidente appare il nuovo e ulteriore riconoscimento politico di Berlusconi quale interlocutore irrinunciabile, in questa fase, per qualsiasi governo. Ergo, Napolitano faciliterà il dialogo tra alcuni precisi partiti in direzione di alcune precise linee programmatiche. Il Presidente ha scelto quale deve essere il prossimo governo.
I 10 saggi di Napolitano sono come il Congresso di Vienna o la controriforma cattolica: atti di restaurazione. Berlusconi ringrazia; Grillo – che della proposta Bersani aveva paura – pure. I 10 saggi sono anche una coltellata alla sinistra PD e spingono questo partito verso una possibile e definitiva spaccatura. La prossima collaborazione con Berlusconi sarà l’occasione per il manifestarsi di una frattura insanabile tra una vecchia guardia governativa, pronta a cedere a Renzi lo scettro del comando, e una variegata costellazione di personaggi, giovani turchi e vecchi leader, emotivamente compressi tra la rabbia per l’ennesima umiliazione e i sensi di colpa per quegli argomenti grillini, brucianti ricordi di una passata gioventù movimentista, che avrebbero voluto far propri ma che la paterna e saggia autorità di papà Giorgio gli ha negato.
Magari! Non ho mai amato le scissioni e spesso penso al monito di Turati in occasione della scissione del partito socialista che culminò con la fondazione del PCI, ma essendomi ormai convinta che il problema di questo paese trovi una delle sue cause nella paralisi del PD non vedo valide alternative ad una sana e salvifica scissione. O si sta a sinistra o si sta a destra. Se non si fa chiarezza su questo punto non è possibile nemmeno parlare di governi di centrosinistra e di governi di centrodestra, ma solo di governi pasticciati con ricadute disastrose sull’intero paese. Un partito, come dice la parola stessa, rappresenta una parte. I problemi e le rivendicazioni di questa parte possono e devono essere inseriti in un contesto più ampio poiché la buona politica e il buon governo non possono prescindere dalla interdipendenza di tutti i fenomeni, ma senza i “fondamentali” si perde di vista la direzione. Nel caso specifico del PD si resta avvitati su scontri tutti interni che impediscono qualsiasi straccio di prospettiva e di azione politica. Da qui la paralisi di un partito chiamato ripetutamente dall’elettorato a cambiare lo stato delle cose (e che sistematicamente si sente tradito), e la conseguente paralisi del paese.
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Bravo Fabio, alcune considerazioni come la mancanza di capacità di sintesi della maggior parte dei cittadini sono veramente fondamentali per capire la realtà e cercare di immaginare cosa si potrebbe fare per cambiarla
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