ILVA: follia, metodo, tragedia

ILVA e quartiere Tamburi
ILVA e quartiere Tamburi

FOLLIA. Scendendo da Bari verso Taranto, i fumi dell’ILVA inizi a scorgerli all’orizzonte già all’altezza di Gioia del Colle. Un altro ottimo punto d’osservazione è il ponte di Punta Penna, quello tra i due mari. Da lì lo skyline dell’ILVA giganteggia, affumica il cielo in alto poggiandosi sui Tamburi in basso. A occhio e croce l’ILVA è estesa quanto il centro abitato di Taranto, è una città dietro un’altra, ferma alle sue spalle, in parte sembra abbracciarla. Cerchiamo di immaginarli questi due territori di simili dimensioni e appiccicati l’uno all’altro: qui non parliamo di una “fabrichetta” nascosta negli anfratti di qualche sconfinata periferia, qui parliamo di due gigantesche entità che da anni convivono, dividendosi lo stesso territorio.
Un paragone bizzarro ci può aiutare: pensate di avere per 18 anni (1995-2012) una persona grande e grossa come voi incollata alle vostre spalle e che 24 ore su 24 vi butta in faccia il fumo della sua sigaretta. Il giorno che quel fumo vi produrrà un tumore ai polmoni potreste mai dire “oddio, com’è potuto succedere”?
Teniamole in mente le proporzioni, le grandezze, i tempi, teniamole bene in mente le dimensioni spoaziotemporali perché in questa storia giocano un ruolo importante, perché se la prima regola di chi delinque è quella di non dare nell’occhio qui troviamo la perfetta ed efficace applicazione della regola opposta. E se l’assistere ad un reato senza denunciarlo è a sua volta un reato allora qui troviamo ribaltate, come in un allegro carnevale, le più elementari regole della convivenza civile, qualcosa che – con le dovute distinzioni – lega vittime e carnefici. Follia, follia allo stato puro.

METODO. Il 27 luglio 2012 il GIP di Taranto Patrizia Todisco emette un’ordinanza di sequestro di sei impianti dell’Ilva. L’ordinanza si basa su due perizie, una chimica e l’altra epidemiologica, che in forma di prova (incidente probatorio) stabiliscono durata, quantità e tipologia delle emissioni inquinanti dell’ILVA, nonché il nesso diretto tra tali emissioni e l’incredibile aumento di mortalità nel territorio tarantino per cause respiratorie, cardiache e oncologiche. Tra i vari punti dell’ordinanza ho selezionato i seguenti:

«La gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all’ambiente e alla salute delle persone.»

«l’attività emissiva si è protratta dal 1995 ed è ancora in corso in tutta la sua nocività.»

«Non vi sono dubbi che gli indagati erano perfettamente al corrente che dall’attività del siderurgico si sprigionavano sostante tossiche nocive alla salute umana ed animale.»

«Le sostanze inquinanti erano sia chiaramente cancerogene, ma anche comportanti gravissimi danni cardiovascolari e respiratori. Gli effetti degli Ipa e delle diossine sull’uomo non potevano dirsi sconosciuti.»

Nella popolazione residente a Taranto si sono osservati «eccessi significativi di mortalità per tutte le cause e per il complesso delle patologie tumorali, per singoli tumori e per importanti patologie non tumorali, quali le malattie del sistema circolatorio, del sistema respiratorio e dell’apparato digerente, prefigurando quindi un quadro di mortalità molto critico.»

«Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza.»

Non vi sono dubbi sul fatto che tale ipotesi criminosa sia caratterizzata dal dolo e non dalla semplice colpa. Invero, la circostanza che il siderurgico fosse terribile fonte di dispersione incontrollata di sostanze nocive per la salute umana e che tale dispersione cagionasse danni importanti alla popolazione era ben nota a tutti.»

«Non vi è dubbio che gli indagati, adottando strumenti insufficienti nell’evidente intento di contenere il budget di spesa, hanno condizionato le conseguenze dell’attività produttiva per la popolazione mentre soluzioni tempestive e corrette secondo la migliore tecnologia avrebbero sicuramente scongiurato il degrado di interi quartieri della città di Taranto

Due le frasi che restano ben impresse in mente: «che tale dispersione cagionasse danni importanti alla popolazione era ben noto a tutti». E poi «nell’evidente intento di contenere il budget di spesa». Due frasi che sono lo zenit e il nadir di questo distopico racconto. Ecco come:

L’ILVA (ex ITALSIDER), proprietà della famiglia Riva dal 1995, è una delle più grandi aziende siderurgiche europee. Gli stabilimenti tarantini sono addirittura i più estesi del continente. L’ILVA produce e vende acciaio, è un’azienda solida, fattura miliardi d’euro ogni anno (9,5 nel 2011) e dà utili in gran quantità (2,5 miliardi di euro negli ultimi 4 anni). Solo a Taranto, tra dipendenti diretti ed indotto (188 aziende pugliesi), stipendia circa 20.000 persone. È il classico “fiore all’occhiello” della sempre più malandata industria italiana. Ha un solo problema: inquina, inquina tanto, emette nell’aria polveri sottili (PM10), diossina e una lunga serie da brividi di veleni, diossido di azoto, anidride solforosa, acido cloridrico, benzene, idrocarburi policiclici aromatici, benzo(a)pirene, cromo trivalente, monossido di carbonio, biossido di carbonio, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, arsenico, cadmio, cromo, rame, mercurio, nichel, piombo, zinco. Contamina l’aria respirata dai tarantini, contamina i terreni, i pascoli, gli animali degli allevamenti vicini alla fabbrica.

Queste cose si sanno da tempo, già nel 2008 l’ARPA misura livelli emissioni di diossina 11 volte superiori alle norme, nonostante ciò il Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo concede l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Si sanno queste cose, e si sa pure che a Taranto si muore proporzionalmente più che nel resto della Puglia, fioccano i tumori e le malattie respiratorie e cardiovascolari. Si sa anche che la colpa è dell’ILVA, lo si sa per buon senso, per evidenza oculare ed olfattiva, perché gli altoforni fumano nuvole rosse ogni giorno, perché quando c’è il vento la città – in particolare i poveri quartieri Tamburi e Borgo – si riempie di polvere rossa. E torna in mente la frase del GIP «che tale dispersione cagionasse danni importanti alla popolazione era ben noto a tutti».

Ma risanare l’ILVA, portare le emissioni dentro i limiti stabiliti dall’OMS, costa tanto, tra i 3 e i 4 miliardi d’euro prevede il recente decreto Monti, cifra che se rapportata agli utili può significare per i Riva 6 anni senza guadagni, e allora torna in mente l’altra frase del GIP «nell’evidente intento di contenere il budget di spesa».

Il metodo ILVA è semplice. Con l’ILVA ci guadagnano tutti, morire di tumore o di enfisema è solo il fisiologico scotto da pagare alle esigenze del PIL. Il metodo ILVA “ammorbidisce” e tiene buoni tutti, dà una mano quando serve, finanzia campagne elettorali (nel 2006 risultano da Riva 245.000 euro a Forza Italia e 98.000 a Bersani), partecipa senza evidenti motivi alla cordata “salva Alitalia” voluta da Berlusconi, restaura chiese e cimiteri nella città di Taranto, paga attività dopolavoristiche (gestite dai sindacati) per i dipendenti. L’ILVA dà lavoro, in cambio chiede silenzio. E silenzio riceve. Un silenzio assordante, appiccicoso come una ragnatela, un silenzio che fa schifo. Dov’erano in questi anni le Istituzioni, lo Stato, la Regione, il Comune? Dove era la Chiesa? Dove i partiti? Dove i sindacati? E i giornalisti? Dov’erano anche loro? Tutti a spartirsi la loro quota di silenzio apparecchiata sopra i cadaveri delle solite vittime, operai e cittadini. Come bravi compagni di merende.

Comunque, per il momento sono indagati il vecchio Riva, suo figlio Nicola e due dirigenti ILVA. A loro carico sono ipotizzate le accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.
E sono indagati per concussione anche due politici, entrambi PD, della Provincia di Taranto, il Presidente e l’ex assessore all’ambiente: avrebbero favorito il rilascio dell’autorizzazione ambientale per la costruzione di una discarica, priva dei requisiti di legge.

Ma se anche questi fossero solo i primi “acciuffati” di una futura lunga serie, sento che non basta, non basta a ricondurre questa vicenda nei “normali” ambiti delle solite truffe all’italiana. C’è qualcosa di più in questo continuo e sistematico e palese e macroscopico avvelenamento ambientale, qualcosa di più in questo sciagurato evocare la morte e quiescentemente osservarla agire, qualcosa che chiama in causa avidità e ignavia, disprezzo per la vita e indifferenza, paura, incoscienza, apatia, cortigianeria e servilismo… follia.

Io non sono esperto di giurisprudenza e il mio giudizio vale poco più di nulla ma se penso a tutta questa storia non mi vengono in mente “semplici” reati come corruzione o concussione ma qualcosa di più imponente, imponente quanto è l’ILVA vista da Taranto: CRIMINI CONTRO L’UMANITA’.

TRAGEDIA. Scegliere tra lavoro e salute è, appunto, una scelta tragica. Tragica in quanto porta con sé il fallimento certo di ogni azione, di ogni scelta. Non c’è salute senza lavoro, non c’è lavoro senza salute. Resta solo la rabbia.