Kwai Talunij era il più grande cacciatore del popolo degli alowij, i fieri figli di Kwootaar. In quel tempo gli ewetij avevano da poco iniziato l’esplorazione della terra degli alowij. Gli alowij temevano gli ewetij ma Kwai Talunij no: egli, piuttosto, ne era incuriosito e quando ne incontrava uno lo osservava di nascosto. Soprattutto restava affascinato da alcuni oggetti lucenti che gli ewetij tenevano tra le mani e che a volte avvicinavano alla bocca o alle orecchie. Una mattina, seguendo le tracce di un grande kwootij, Kwai Talunij entrò in una radura e restò impietrito nel trovarsi di fronte un ewetij che si dimenava all’interno di una pozza di fanghi molli. L’ewetij, imprigionato tra i fanghi, guardava fisso un oggetto lucente tra le sue mani e urlava “noncècampogesùnoncècampo”. Quando l’ewetij si accorse di Kwai Talunij gli gridò: “aiutoaiuto… stosprofondando… salvamitipregosalvami”.
“Kwa eto saturij” rispose sicuro Kwai Talunij. Ma l’ewetij non capiva e si disperava, e più si disperava e più sprofondava. “Kwa eto saturij? Cosa vuol dire kwa eto saturij? Perché non mi aiuta?”. “Salvamisalvami” pregava l’ewetij, “kwa eto sarurij” rispondeva l’alowij. Con il fango ormai sopra alla cintola, l’ewetij fece un ultimo sovrumano sforzo per liberarsi: urlò, lanciò via l’oggetto lucente che aveva tra le mani e con un colpo di reni tentò di sollevare almeno una gamba, ma lo sforzo gli fu fatale e il cuore gli scoppiò. In quella minuscola infinita frazione di tempo in cui la vita gli svaniva, vide l’oggetto lucente ricadere ai piedi di Kwai Talunij. Ne sentì il tonfo, irreale, mischiarsi all’eco di quelle oscure parole, “kwa eto saturij”. Poi sentì le sue gambe toccare il duro suolo e il suo corpo smettere di sprofondare. Ma era troppo tardi: stava morendo. In quella minuscola infinita frazione l’ewetij rammentò – cosa assai strana prima di morire – una frase che non aveva mai compreso sino in fondo: “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Quanto era piccolo il suo mondo in quel momento, piccolo come quella pozza di fango. Ah, se avesse compreso quell’idioma arcano, se non si fosse avventurato in quel territorio sconosciuto senza prima imparane il linguaggio. Se solo non fosse stato tanto superficiale avrebbe potuto comunicare con Kwai Talunij e avrebbe potuto capire il senso di quella frase, “kwa eto saturij”, che nella lingua alowij significa “calmati, è profonda solo un metro”.