Non mi convince tutto questo can can che da varie parti sentenzia la fine del c.d. postmoderno. Intanto perché non credo questa sia materia di filosofi o intellettuali di vario genere, semmai degli storici, che infatti non si pronunciano sapendo benissimo che non si dispone della giusta distanza (appunto) storica per individuare i confini temporali del movimento. Lyotard non ha “inventato” il postmoderno, che esisteva già di per sé ed era noto, semmai gli ha dato un nome convincente e immediatamente condiviso (non che questo, comunque, sia poca cosa). Questa corsa all’elogio funebre mi sembra nascondere più una volontà di liberarsi dalla tirannia dell’attuale paradigma (o anti-paradigma, visto che si parla di post-moderno), che una valutazione oggettiva della realtà.
Poi, direi, liberarsi dal postmoderno per tornare alle sicurezze dei vari realismi, oggettivismi, positivismi, è un po’ come staccare dalla propria casa l’allaccio elettrico per tornare alle lampade a gas. La storia non è bidirezionale.
Lo scrittore Edward Docx su La Repubblica del 3 settembre individua quelli che a suo parere sono i caratteri salienti del paradigma: la convivenza sullo stesso piano di tutte le interpretazioni, sino al concetto dello svanire dei fatti sostituiti dalle interpretazioni stesse; la predeterminazione (o predestinazione?) storico-socioculturale dell’individuo; il gioco e l’ironia dissacrante; la mescolanza multidisciplinare. Aggiungerei il diffondersi, a vari livelli, di una sensibilità interpretativa debitrice del relativismo; in filosofia, il “pensiero debole” e l’idea che tutto sia “testo”; nelle arti, l’abbattimento dei confini disciplinari e stilistici; nella scienza, una maggiore “umiltà” e l’idea che la scienza stessa sia non evolutiva o progressiva ma una continua falsificazione di modelli interpretativi passati. Possiamo far finta che tutto questo non sia accaduto? Possiamo alzare le spalle e tornare ai rassicuranti dogmi positivi? E ciò proprio di fronte alle sfide che il multiculturalismo ci lancia ogni giorno?
Io direi di no, direi che il caos postmoderno è una bella ed inevitabile conquista dell’Occidente che dobbiamo difendere e far crescere. Tra l’altro, il senso di confusione, la mancanza di un solido appiglio, tutti effetti di cui si accusa il postmoderno, non li ho mai avvertiti: sto tanto bene nel vortice delle interpretazioni.
No, il postmoderno non si può superare, però, come dice Muzzioli, si può andare a fondo della modernità, che è uno scendere in basso per andare avanti. Tornare indietro non è possibile. Convengo su tutto, tranne sul fatto che il postmoderno non sia materia di filosofi, a loro non spetta nominare e catalogare gli effetti, ma ragionare su questi effetti gli spetta eccome.
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