Il Melodramma, o Sul principale paradigma interpretativo italiano agli inizi del XXI sec.

“Per fare un buon melodramma si deve per prima cosa scegliere un titolo. Bisogna poi adattargli un qualsiasi soggetto, storico o di fantasia; poi ci si metteranno come personaggi principali un gonzo, un tiranno, una donna innocente perseguitata, un cavaliere [ma anche un Cavaliere perseguitato va bene. N.d.r.] e, potendolo fare, qualche animale addomesticato, che so? un cane, un gatto, un corvo, una gazza o un cavallo.
Sono di rigore un balletto e un quadro di insieme nel primo atto; una prigione, una romanza e delle catene nel secondo; battaglie, canzoni e via dicendo nel terzo. Il tiranno sarà ucciso alla fine dell’opera, la virtù trionferà e il cavaliere sposerà la donna innocente, sventurata etc.
Si finirà con una esortazione al popolo, per impegnarlo a preservare la sua moralità, a detestare il crimine e i tiranni, e soprattutto gli si raccomanderàò di sposare preferibilmente donne virtuose.”
[Trattato del Melodramma, 1817, Parigi]

“… nel primo atto del melodramma troviamo una celebrazione della fête di innocenza e virtù […]. Ma la fête sarà turbata. Nel suo mezzo si insinuerà il tiranno o il traditore […], spesso si tratta dell’annuncio che l’innocente virtuosa non è quella che appare […]. Il primo atto finisce molto spesso con la cacciata di innocenza dalla terra natale […], la condanna a peregrinare, la penitenza, il matrimonio forzato o la morte. […] Per metà della rappresentazione il cattivo domina interamente la scena, impone tutte le valutazioni morali, inganna tutti o altrimenti impone semplicemente la sua volontà con la forza […]. Il terzo atto porta lotta, combattimento, un evidente recitare e attraversare fino in fondo i termini manichei della rappresentazione con la vittoria finale del giusto, la liberazione di innocenza e il suo riconoscimento da parte di coloro che erano stati fuorviati dalle false affermazioni del cattivo…”
[Peter Brooks, Introduzione al Trattato del Melodramma]

“…il mélo è al centro di una costellazione di significati tutti sostanzialmente negativi, implicando valori di esagerazione, di contrapposizione manichea tra bene e male senza sfumature, di esasperazione dei contrasti, di caricamento artificiale delle emozioni e di esibizione sfacciata delle passioni, di mancanza della misura e di abuso del patetico. […] Non si fatica certo a riconoscere in questa struttura emotiva del mélo un intento socialmente consolatorio, nel costruire un modello in cui alla fine i conti della giustizia tornano perfettamente, il dolore patito ingiustamente viene ricompensato e la malvagità, personale e di classe, viene perseguita senza pietà.”
[Luigi Allegri, La drammaturgia da Diderot a Beckett, Laterza 1993]

L’attore secondo l’ISTAT

Il 9 ottobre 2011 inizierà ufficialmente il 15° censimento nazionale ad opera dell’ISTAT, la quale per l’occasione sta già provvedendo ad inviare alle famiglie italiane il questionario da riempire. A me è giunto ieri, e iniziando a leggere le centinaia di domande presenti mi ha colpito la sezione relativa all’attività lavorativa. La domanda posta nel questionario è precisamente “in che cosa consiste la Sua attività lavorativa?“, e vi sono 10 risposte possibili corrispondenti ad altrettante generiche categorie. Le categorie raggruppano svariati mestieri, decisamente eterogenei ma suppongo accomunati da criteri che, ad una prima occhiata, mi sembrano almeno discutibili. Comunque sia, è stata l’ottava categoria ad aver attratto la mia attenzione. Recita la descrizione: “Attività organizzativa, tecnica, intellettuale, scientifica o artistica ad elevata specializzazione“. A maggior intelligenza della definizione vengono specificati i seguenti mestieri: medico, professore universitario, insegnante elementare (!), ingegnere, chimico, agronomo, avvocato, farmacista, musicista (!!) e, udite udite, attore. Chissà, forse gli esperti dell’ISTAT avevano in mente gli attori del teatro indipendente, ormai da anni altamente specializzati in ogni genere di attività pertinente il teatro, dalla produzione alla realizzazione, divenendo di volta in volta autori, registi, uffici stampa, organizzatori, tecnici luce, scenografi, grafici, costumisti, web master, giornalisti, cassieri, venditori e infine commercialisti… oltre che ovviamente attori. Com’è che si dice? Di necessità virtù. Battute a parte, c’è da sorridere, o da piangere, pensando alle buste paga di professori universitari, ingegneri o medici, affiancate a quelle (quali?) degli attori… almeno di quelli teatrali. Difficile pensare in Italia ad una professione più manchevole di elementari regole, diritti e garanzie, di quella attoriale. In questo senso, l’ottava categoria ISTAT appare davvero uno splendido sogno.