L’inganno della Scrittura Creativa

Snoopy scrittore (Peanuts, Schulz)
Snoopy scrittore (Peanuts, Schulz)

Il concetto di Scrittura Creativa non l’ho mai amato molto. Ovvio che la scrittura lo sia, così come lo è qualsiasi altra espressione artistica, ma la comunicazione ultimamente inflazionata di questo concetto dà volontariamente spazio a vistosi fraintendimenti: creativa come libera, creativa come ludica, creativa come rilassante; creativa, insomma, come lo è uno spazio di alterità rispetto a un mondo ingabbiato e stressato tra norme, doveri e regole. Non è mai così, qualunque scrittore si accorge che lo spazio di creatività nel proprio lavoro è ridotto a un impulso iniziale (che a ben guardare è anch’esso figlio più della necessità che della libertà), e che l’opera che sta creando, dopo solo poche pagine, assume una personalità e una progettualità talmente inflessibili e tiranne da annullare la volontà del creatore stravolgendola nell’asservimento completo. Allora nulla diventa più doveroso e metodico della tua scrittura e scopri che non ha più – né ha mai avuto – la funzione di divertirti o rilassarti ma solo quella di servire lei, la tua opera, che non è più tua, non è mai stata tua, ma si appartiene, appartiene a se stessa, e vuole essere soddisfatta. Ogni termine che userai, ogni locuzione, ogni verbo saranno studiati e soppesati per lei, perché possa nascere e svilupparsi senza tradire la propria personalità, il suo (e tuo) progetto interiore. Ed essendo sempre lungo il parto di un’opera, settimane su settimane, mesi, forse anni, arriva il giorno in cui ti accorgi che sei cambiato da quando avevi concepito quel progetto, sei un altro, la tua sensibilità e i tuoi desideri sono mutati, e quest’altro che ora sei divenuto vorresti esprimerlo nella tua scrittura ma non puoi, non ancora, almeno non con quell’opera che ancora non ha visto la luce. Devi rimanerle fedele, sempre, comunque, perché lei ha la priorità su di te. C’è tanta genitorialità in questo mestiere, altro che creatività.

insostenibile leggerezza dello scrivere

 …i personaggi non nascono da un corpo materno come gli esseri umani, bensì da una situazione, da una frase, da una metafora, contenente come in un guscio una possibilità umana fondamentale che l’autore pensa nessuno abbia mai scoperto o sulla quale ritiene nessuno abbia mai detto qualcosa di essenziale.
Ma non si dice forse che un autore non può parlare che di se stesso? Guardare nel cortile, senza sapere che fare; sentire l’ostinato brontolio della propria pancia nell’attimo dell’esaltazione amorosa; tradire e non potersi fermare sulla bella strada dei tradimenti; alzare il pugno nel corteo della Grande Marcia; esibire il proprio umorismo davanti ai microfoni nascosti della polizia; tutte queste situazioni le ho conosciute e vissute io stesso, e tuttavia da nessuna di esse è sorto un personaggio che sia me stesso col mio curriculum vitae. I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato. E’ proprio questo confine superato (il confine oltre il quale finisce il mio) che mi attrae. Al di là di esso comincia il mistero sul quale il romanzo si interroga.

Questo è Milan Kundera… che altro aggiungere?